Il sospetto: molte persone si sposano non per amore ma per regolarizzarsi.

Pochi minuti e abiti a nolo: duemila matrimoni l’anno, di cui la metà misti. Per gli stranieri bastano passaporto e un nulla osta.

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Un matrimonio a Palazzo Dugnani (Fotogramma)

MILANO – Milano come Las Vegas. E Palazzo Dugnani come le decine di wedding chapel dove ci si sposa senza troppi intoppi. Un’industria legata al mondo del «sì» che non passa mai di moda. Là, negli States, almeno 60 mila persone all’anno coronano il loro sogno d’amore. Qui, all’ombra della Madonnina, i matrimoni civili, da gennaio ad oggi, sono stati 1.950 di cui metà tra coppie miste. Nella valle dei pellerossa si accampavano le carovane che si spostavano da Santa Fé alla California. E in quella terra di frontiera c’era la necessità di sposare cowboy e pionieri di passaggio nel più breve tempo possibile.
Oggi la fretta è identica: se si decide per il grande passo, basta avere entrambi almeno 18 anni e presentarsi con un documento di identità. Per gli stranieri serve il passaporto. Il costo è di 35 dollari. A Palazzo Dugnani è uguale: ci si sposa in un lampo ed è sufficiente essere maggiorenni. Per gli stranieri i soli documenti da presentare sono il passaporto e un nulla osta richiesto al proprio consolato. Anche se si è clandestini. Spese di cancelleria 15,14 euro.
Come in un lunedì qualsiasi. Con nove matrimoni celebrati di mattina e cinque di pomeriggio. Con due giovani cinesi che, avendo preso l’abito a nolo, si sono cambiati a fine cerimonia nei bagni della sala. Denudandosi e senza troppo far caso alla porta lasciata aperta. Sono seguite altre quattro coppie straniere: una albanese e tre asiatiche, con il testimone che fungeva anche da interprete ma che non riusciva a leggere la fatidica frase: «Giuro di adempiere fedelmente all’incarico conferitomi sotto pena delle comminatorie stabilite dalla legge». Difficile anche per un italiano.
E sulle cinque coppie miste, è sorto il dubbio che si sarebbero sposate non per amore ma per regolarizzarsi. Perplessità balzate all’occhio del consigliere officiante di turno, Carmine Abbagnale. Soprattutto quando è toccato a una zingara croata che andava a farsi impalmare da un italiano di origini slave, padre di otto figli, due dei quali a fare da testimoni. Abbagnale ci ha provato chiedendo alla donna di chi erano i ragazzi. Risposta: «Mi sto sposando con l’uomo al quale ho dato quattro figli». Ma, al computer, la zingara che aveva residenza a Zagabria e domicilio a Milano, non risultava madre di nessuno. Non importa: avrebbe dovuto pensarci l’ufficio matrimoni di via Larga a fare verifiche.
Qui ci si sposa e basta. E di fretta come a Las Vegas. E per rendere meno asettiche le cerimonie, Cinzia e Clelia, impiegate con licenza di celebrare nozze, si sono date un gran daffare. Cinzia ha intonato «Sei grande, grande, grande», di Mina e «Sei nell’anima» di Gianna Nannini. Mentre Clelia ha recitato «Amare una persona», versi d’amore in libertà della stessa Clelia. Strappando consensi e qualche lacrima ai convenuti.
Michele Focarete
24 ottobre 2008