(1) – Quirinale, serve un Presidente condiviso e garante di tutti.
L’Italia non è una repubblica presidenziale. Ma ormai è come se lo fosse. Grazie alla Costituzione materiale, che si è modellata negli ultimi anni con l’esercizio quotidiano dei poteri presidenziali, oggi il capo dello Stato non è più soltanto un notaio della Repubblica. Non è più soltanto il rappresentante di un’istituzione che, secondo la Costituzione scritta, rappresenta l’unità nazionale e manda al Paese messaggi rassicuranti e pieni di retorica. No. Oggi il capo dello Stato – come ha spiegato più volte Silvio Berlusconi – ha poteri di gran lunga superiori a quelli del premier. Per questo il leader del centrodestra chiede da sempre che si nomini un presidente della Repubblica condiviso, che sia di garanzia per tutte le forze politiche, e non un ulteriore motivo di divisione.
Le ragioni di questa richiesta sono di puro buon senso, ma anche il riflesso di un’esperienza istituzionale vissuta sul campo. Oggi, infatti, il capo dello Stato dispone a piacimento dello strumento del decreto legge, nel senso che può consentirlo al governo, oppure vietarlo. Può rimandare una legge davanti al Parlamento, ma più sovente accade che la rispedisca al governo prima ancora che sia varata dal Consiglio dei Ministri, in quanto – grazie alla Costituzione materiale – si è affermata la prassi di sottoporre al vaglio dei Quirinale e dei suoi esperti giuridici il profilo di costituzionalità di qualsiasi provvedimento di legge in fieri. Infine il capo dello Stato dà l’incarico di formare il governo a chi vince le elezioni, ma se l’incaricato non gli porta una maggioranza certa, addio sogni di gloria. E Bersani ne sa qualcosa.
Così, anche l’osservatore più distratto e sprovveduto è oggi consapevole che un capo dello Stato di parte sarebbe una sciagura non solo per i suoi avversari politici, ma anche per l’Italia. Non solo perché non rappresenterebbe più l’unità nazionale. Ma perché le leggi con la sua firma potrebbero apparire di parte, avallate magari per colpire chi non ne condivide né la filosofia, né la prassi. Un presidente così segnerebbe la fine dell’unità nazionale, e fornirebbe più di un pretesto per parlare di golpe, visti i risultati elettorali delle politiche.
Ecco perché le votazioni per il capo dello Stato, che iniziano domani mattina, rivestono un valore strategico come mai in passato. E dal loro esito si capirà se l’Italia avrà trovato – come si augura Berlusconi – l’uomo e il presidente giusto, condiviso, per una pacificazione nazionale, e per un governo forte e stabile. Oppure, ma sarebbe una sciagura, l’esatto contrario.
(2) – Perché un governo forte e subito
L’elezione del capo dello Stato è importante, strategica, e lo è diventata anche di più visto il ruolo che il Quirinale ha assunto negli ultimi anni. Ma poi servirà un governo. E non un esecutivo allo sbando, di minoranza, senza una base politica garantita. Occorre un governo che sappia dire la sua in Europa e nel mondo, sulle questioni economiche e non solo, mentre tutti gli altri paesi partner (o concorrenti?) difendono proprio con la politica i loro interessi. Occorre un governo, soprattutto, che faccia ciò che serve all’interno, a cominciare ancora dall’economia e dal lavoro, ma anche dalle questioni sociali delle quali i tecnici si sono disinteressati. Poiché le economie dell’euro sono interconnesse, guardiamo a ciò che accade in Germania, Francia, Gran Bretagna, Spagna, i nostri immediati dirimpettai. Lì si fa politica, eccome, e sempre più a danno nostro. Come in Germania, dove si discute addirittura di prelevare i nostri risparmi, ovviamente con la solita scusa di “tranquillizzare i mercati”. Come in Francia, che seppure in modo finora fallimentare si è affidata alla politica, quella di sinistra. Come in Spagna ed in Gran Bretagna. Come in ogni paese evoluto del mondo, a cominciare dagli Stati Uniti.
Perché l’Italia no? Perché l’Italia deve condannarsi ai governicchi, agli esecutivi di minoranza, alle formule tecniche o presidenziali? Ciò che serve al Paese, lo diciamo dal 26 febbraio, è un governo politico forte, con dentro il meglio del centrosinistra e del centrodestra. Così ha fatto la Germania nei suoi momenti difficili, così sta facendo l’Olanda, così ha deciso in tempo di guerra la Gran Bretagna, così fa la Francia con la coabitazione, così fanno perfino gli Usa quando la Casa Bianca va da una parte ed il Congresso dall’altra. Da noi no: ci si nasconde dietro il “cambiamento”, si dice che il “popolo della sinistra” non capirebbe. Tutte parole astruse per sacrificare all’antiberlusconismo gli interessi dell’Italia.
Serve un governo forte e autorevole, con una maggioranza ampia, per non finire ostaggi del popolismo distruttivo e degli interessi stranieri. Sarà possibile? Ce lo auguriamo. Diversamente si fa come in tutte le democrazie: si torna alle urne non per indebolire l’Italia, ma perché emerga una maggioranza forte. Per dare finalmente al Paese ciò che serve di più: un governo.
(3) – Perché solo da noi un voto coeso
Quando domani alle 10 si inizierà a votare per il capo dello Stato, si può stare certi che da un gruppo politico non mancheranno voti né verranno sorprese: il Popolo della Libertà. Al contrario, tutti i dubbi dei commentatori e degli stessi esponenti dei partiti si concentrano sugli altri, a cominciare dalla sinistra. Il discorso riguarda ovviamente il Pd, ormai un campo di battaglia tra ex Ds ed ex margheritini, a loro volta eredi del vecchio Pci e della vecchia Dc. E il bello, anzi il brutto, è che tutti i candidati vengono da quella parte: l’ambizione personale è legittima, ma dov’è finito il senso dello Stato del quale il centrosinistra si è sempre ammantato, quasi fosse un suo patrimonio genetico? E molto semplice, anche se la cosiddetta grande stampa non lo ammette: il senso dello Stato, il concetto di bene del Paese, lo abbiamo noi, e soltanto noi siamo in grado di garantirlo nelle occasioni più importanti. Ripetiamo: il Pdl non agisce per proprio tornaconto, non abbiamo nessun candidato il lizza. E’ ovvio che alcuni dei nomi ci vanno bene, altri meno, altri proprio no. Ma c’è una bella differenza ad essere direttamente parti in causa, oppure contribuire con tutta la forza dei nostri voti.
Ebbene, questa forza e questa garanzia siamo gli unici a metterle a disposizione delle istituzioni. E dobbiamo perfino farci carico delle debolezze e delle lacerazioni altrui: i franchi tiratori, che qualcuno si è anche preso la briga di contare. Per impallinare una candidatura comune nelle prime tre votazioni ne servirebbero 160, e tutti vengono indicati nel Pd e dintorni. Nessuno, al contrario, dubita della nostra compattezza e soprattutto del fatto che manterremo la parola data. Ecco, il punto sta proprio qui: noi, se prendiamo un impegno di fronte al Paese, anche con i nostri avversari politi, quell’impegno lo manteniamo. La nostra parola vale oro. Noi non la tradiamo. Si può dire lo stesso per tutti gli altri?
(4) – “Se non c’è soluzione il Paese marcirà”
”Se il Pd non trova una convergenza politica con il M5S per farci un governo in cui noi saremo all’opposizione, la strada che rimane e’ quella di un governo tra le due forze politiche principali, Pd e Pdl, e il movimento che e’ stato espresso da Monti. L’alternativa sono le elezioni anticipate. Dire di no a tutto significa che staremo a marcire e le manifestazioni come quella di Montecitorio saranno nulla in confronto a quello che avverra’ dopo in assenza di risposte. Quando c’e’ totale disperazione, nessuno controlla piu’ niente. Questo e’ il rischio”. Lo ha detto Fabrizio Cicchitto (Pdl) intervenendo ad Agora’, su Rai Tre.
Successivamente in una nota il parlamentare azzurro dichiara: “non ho assolutamente idea di come si concludera’ la vicenda della Presidenza della Repubblica. Mi auguro che emerga alla prima votazione un candidato di alto profilo, laico o cattolico che sia, che sia di garanzia per tutti, per cui saranno in condizione di votarlo anche i parlamentari del PdL. In questo quadro francamente reputo un esercizio inutile e anche un po’ meschino quello fondato sull’odio retroattivo, derivante da storie pregresse, compresa quelle riguardanti il PSI. Cosi’ francamente non condivido gli attacchi a Giuliano Amato sferrati da significative personalita’ appartenenti all’area socialista”. Fortunatamente o purtroppo – aggiunge -oggi non e’ in corso un congresso del PSI. E’ invece in atto una tragedia italiana rispetto alla quale dobbiamo cercare di mettere alle nostre spalle cio’ che abbiamo sedimentato anche nei tragici anni ’92-’94. Lo dico indipendentemente dalla stessa possibilita’ di eleggere l’uno o l’altro candidato alle prossime elezioni per il Presidente delle Repubblica”.
Sandro Bondi – ”Anche le ultime dichiarazioni di Grillo dovrebbero far capire a tutti che il movimento da lui fondato, al di la’ delle intenzioni di chi vi aderisce e soprattutto dei propositi di chi lo vota, ha caratteristiche plebiscitarie e autoritarie che sarebbe un grave errore sottovalutare”.
Renato Brunetta – ”Spererei molto che si arrivasse all’elezione del presidente della Repubblica domani mattina con la prima votazione, perche’ sarebbe un bellissimo segnale, un bellissimo segnale di coesione, un bellissimo segnale di coerenza. Ci vuole una figura, come ha sempre detto il presidente Berlusconi, che non divide ma che unisce, una figura capace di rappresentare l’Italia a livello internazionale, una figura che abbia esperienza istituzionale, una figura che abbia una storia, una competenza. I presidenti della Repubblica non s’inventano dall’oggi al domani, non nascono sotto i cavoli, i presidenti della Repubblica non vengono fuori dall’immagine televisiva, o dalla fama televisiva o dalla fama artistica, per carita’ tutte cose legittime, pero’ il presidente della Repubblica in Italia ha una funzione complessa”.
Mara Carfagna – ”Non puo’ avere alcuna credibilita’ chi propone un candidato Presidente della Repubblica e, dopo cinque minuti, insulta – letteralmente – nove milioni di italiani. Spiace che Beppe Grillo abbia voluto sottrarsi ancora una volta al gioco della democrazia, continui a restare nel suo Aventino dorato dal quale gode ad insultare tutti e, addirittura, i ‘pensionati che prendono i voli low cost’. Continui pure sulla strada del dileggio a Silvio Berlusconi, se crede: i sondaggi dimostrano che buona parte dei suoi elettori si sono gia’ pentiti e non commetteranno mai piu’ l’errore di dare la propria fiducia al M5S, di sprecare un voto”.
Maurizio Gasparri – “In un Paese spaccato una scelta unilaterale sarebbe poco utile e poco saggia. I nomi condivisibili sono noti. Noi ricerchiamo la condivisione e la collaborazione, ma dall`altra parte non arrivano grandi segnali. Speriamo in queste ultime ore”.
Stefania Prestigiacomo – “Il Pd potrebbe risolvere le sue guerre interne in un altro momento e lavarsi a casa i panni sporchi? Si sono accorti che ci sono urgenze, tipo l’economia, che non possono essere rinviate? Non sembra proprio. E’ in atto un gioco di potere tra chi nel Pd vuole governare solo senza avere i numeri e chi anche sempre nel Pd si gioca partite politiche usando come campo di battaglia il Quirinale. Ma tale teatrino al quale stiamo assistendo, che vede il segretario Bersani protagonista, e’ veramente indecoroso rispetto a un paese che ha bisogno immediato di risposte. Non consentiremo che la sinistra trasformi anche l’elezione del capo dello Stato in uno spettacolo ugualmente indecente”.
(5) – Vicinanza e amicizia al popolo americano
“Gli efferati attentati di Boston colpiscono non soltanto l’America, ma tutti quegli Stati impegnati nei processi di diffusione della libertà e dei principi di democrazia. Il profondo dolore arrecato in queste tragiche ore é la conseguenza di vili e vuoti sistemi di violenza davanti ai quali la piena solidarietà ci porta, uniti, a contrastare con fermezza qualsiasi forma di sovversione del vivere democratico. Siamo dunque a fianco dell’America, nell’assoluta convinzione che si solleverà ancora una volta dalle ferite inflitte, in forza delle ragioni di quei valori assoluti che sono alla base della sua costituzione. A nome del Popolo della Libertà esprimo sentite condoglianze ai familiari delle vittime e auguri di pronta guarigione ai feriti, ribadendo la nostra affettuosa vicinanza e la nostra antica amicizia al popolo americano e alla città di Boston”. Lo dichiara il segretario politico del Pdl, Angelino Alfano.
Brunetta: dal PdL solidarietà all’America
“Esprimo a nome dei deputati del Pdl, tutta la solidarieta’ e l’amicizia per il governo e per il popolo americani, insieme con lo sdegno e la condanna per l’atto terroristico di Boston, qualunque sia la matrice ideologica che lo ha generato. In questo momento di incertezze internazionali, dove agiscono forze oscure che minacciano anche la vita quotidiana di gente pacifica, e’ piu’ che mai urgente garantire interlocutori chiari e autorevoli che rappresentino il nostro Paese nella comunita’ internazionale”. Lo afferma in una nota Renato Brunetta, presidente dei deputati del Pdl.
“Lo ha detto con saggezza il presidente Napolitano. Ci associamo nel chiedere con vigore alle forze responsabili di far uscire subito l’Italia da questo stallo istituzionale e di governo, che ha conseguenze gravi a ogni livello, da quello economico a quello della sicurezza – aggiunge -. La strada l’ha indicata piu’ volte Silvio Berlusconi: governo di grande coalizione, presidente della Repubblica che garantisca l’unita’ della nazione. Deve vincere la responsabilita’ sulla inconcludenza e sul disfattismo”.
(6) – Tempo scaduto e perdita di tempo
Dunque secondo il Fondo monetario lo stallo politico in Italia rischia di minare la ripresa dell’economia mondiale. Un concetto molto simile lo aveva espresso qualche giorno fa il presidente di Confindustria Squinzi secondo il quale cinquanta giorni senza un governo nel pieno delle sue funzioni ci è costato un punto di pil. Alla vigilia dell’elezione del nuovo Capo dello Stato è assolutamente necessario che tutte le forze politiche responsabili capiscano che non è più il momento della tattica politica e delle faide di partito, perché il Paese brucia e servono interventi immediati. Quegli interventi che il governo Monti non ha né la forza né la volontà politica di varare, come dimostra il documento di economia e finanza appena presentato al Parlamento, che mette tra i principali obiettivi il risanamento dei conti pubblici ma lo fa accettando supinamente le regole fiscali europee (patto Europlus e soprattutto fiscal compact).
Nel def dei tecnici non c’è alcuna nota critica nei confronti del rigore a senso unico e non ci si pone il problema di cambiare rotta. È grottesco leggere che “inizialmente le risorse per l’aggiustamento fiscale sono derivate dalle entrate”, quando il governo stesso ha dovuto certificare un buco di gettito pari a 21 miliardi di euro, dovuto proprio alle sue politiche fiscali restrittive; e ” dall’esigenza di sostenere la crescita”, mente è proprio a causa delle politiche di Monti che l’Italia è finita in recessione. Sull’equilibrio dei conti rimane poi in ballo la questione del reperimento delle risorse per finanziare la cassa integrazione, che secondo il ministro Fornero ammonterebbero a oltre un miliardo di euro. È altrettanto grottesco leggere nel def degli interventi per l’edilizia (compensazione Iva e detrazioni ore ristrutturazioni) definito come “il più colpito dall’attuale crisi”, quando è chiaro a tutti che la gravissima crisi di uno dei settori trainanti dell’economia è dovuta soprattutto all’introduzione dell’Imu e al peggioramento del reddito disponibile delle famiglie, entrambi frutto delle politiche draconiane del governo tecnico.
Intanto, nel 2013 il pil si contrarrà dell’1,5 per cento e il tasso di disoccupazione crescerà oltre il 12 per cento. Ma secondo il Fondo monetario i primi segnali di ripresa potrebbero davvero arrivare anche in Italia nella seconda meta’ di quest’anno, e la politica deve farsi trovare pronta, o con un governo di larghe intese da costituire subito dopo l’elezioni del presidente della Repubblica, o con un esecutivo forte uscito da nuove elezioni. Il tempo è ampiamente scaduto.
(7) – “Monti scrive 800 pagine di balle”
Da Libero, a firma Chris Bonface
I soldi non ci sono, e mezzo milione di lavoratori già ora rischia di non avere più un euro in tasca. Eppure solo qualche giorno fa Mano Monti ha spiegato all’Unione europea e al Parlamento italiano (che tanto è come non ci fosse, non essendo ancora state nemmeno costituite le commissioni), che sulla cassa integrazione in deroga tutto fila liscio come l’olio. Il capolavoro di ottimismo è contenuto in due documenti integrati appena inviati a Bruxelles e Roma: il Def e il Programma nazionale di riforme. Più di ottocento pagine fra documenti tabelle per descrivere un libro dei sogni e una situazione economica nazionale di un paese che forse esisterà in qualche angolo del mondo. Ma che certo non è l’Italia. Altrimenti come potrebbe sostenere un premier a inizio aprile che «la previsione della spesa per prestazioni sociali in denaro risulta coerente con quanto programmato» e che «per l’anno 2013 la previsione tiene altresì conto delle misure connesse ai complessivi strumenti di ammortizzatori sociali previste dalle leggi di riforma del mercato del lavoro e di stabilità 2013 fra le quali l’incremento del rifinanziamento dei cosiddetti ammortizzatori sociali in deroga». Una settimana dopo un ministro dello stesso esecutivo, Elsa Fomero, rivela l’esatto opposto: da qui a fine anno mancano per la Cig oltre due miliardi di euro. L’Unione europea dunque è stata appena informata male dal governo Monti. Fosse solo su quello…
Fra Def e Pnr c’è una sorta di crescendo beethoveniano di auto-lodi del governo Monti. Racconta per esempio di avere varato nel 2012 «misure di riduzione della pressione tributaria che mirano in particolare al sostegno dei consumi e del reddito disponibile delle famiglie, a fornire incentivi al sistema produttivo e a favorire l’occupazione, in particolare giovanile e delle imprese di piccola dimensione, ancora più se operanti nelle Regioni del Mezzogiorno di Italia». Ecco, o chi ha scritto quel documento prima si è scolato qualche pinta di rhum, o bisognerebbe trovare anche la più labile traccia di quelle balzane affermazioni nella realtà economica italiana del 2012. Riduzione della pressione tributaria? A fine anno ha raggiunto il record storico. Favorita l’occupazione? E quando? Nel 2012 ha battuto il record storico italiano, quella generale, come quella giovanile.
Anche se le tabelle non possono mentire, e indicano una spesa pubblica cresciuta nel 2012 sia in termini percentuali che in termini assoluti (perfino quella pensionistica), Monti si descrive all’Europa come un persecutore impietoso degli sprechi di Stato, l’unico presidente del Consiglio ad avere tagliato davvero la spesa. E dice di avere già re-impiegato quei risparmi clamorosi: «Parte dei risparmi di spesa ottenuti sono destinati al finanziamento di misure di carattere espansivo che riguardano prioritariamente interventi mirati al sostegno delle dotazioni infrastrutturali e per alcune spese indifferibili» (terremoto ed esodati). Bisogna poi leggere pagine a pagine per arrivare a capire quale provvedimento del governo Monti avrebbe provocato una espansione dell’economia italiana. Ecco la risposta a pagina 81: «Eventuali slittamenti sia del previsto aumento delle aliquote Iva sia dell’introduzione del tributo comunale sui rifiuti e sui servizi (Fares), prevista a luglio 2013, potrebbero generare effetti espansivi già nel 2013 sul livello della attività economia». Tradotto per i burocrati europei che altrimenti non possono capire: Monti ha messo due nuove tasse che peseranno su redditi e consumi. Se qualcun altro riuscirà a toglierle e rinviarle, l’economia italiana non subirà una nuova mazzata (espandersi no, perché se non pagava prima, non ha vantaggi da continuare a non pagare).
Monti si intesta poi grandi riforme che incideranno sul pil italiano in modo decisivo. E insiste su quello per cui da un anno tutti in Italia già ridono a crepapelle: la sua presunta lenzuolata sulle liberalizzazioni. Che dovrebbe dare qualche centesimo di Pil in più dal 2015 (chi vivrà vedrà) e addirittura una scossona di qualche punto di Pil a partire dal 2020 (fra sette anni!). Ottocento pagine di pura fiction. Buona soprattutto per qualche puntata del «Crozza delle meraviglie».
(8) – Franco/I grillini e la crisi dei partiti
Dal Corriere della Sera, a firma Massimo Franco
La nebbia non si dirada, e probabilmente è inevitabile. A un giorno dall’inizio delle votazioni per il Quirinale, le tensioni stanno aumentando. E l’ipotesi di una candidatura trasversale deve confrontarsi con la tenuta soprattutto del Pd. È la forza che ha il maggior numero di grandi elettori, grazie anche al premio di maggioranza alla Camera conquistato nel voto di fine febbraio. Ma fa fatica a contenere le spinte centrifughe e le incursioni polemiche di altri partiti decisi ad acuire le difficoltà di Pier Luigi Bersani. Di fronte, il segretario del Pd non ha soltanto la prospettiva di una possibile lacerazione, se le cose dovessero andare male nella scelta del capo dello Stato. Davanti a lui si staglia anche il pericolo concreto di perdere la leadership e molti voti alle prossime elezioni politiche. E dunque non si può escludere che nelle decisioni finali pesi la necessità di puntare al male minore pur di tenere il Pd più compatto possibile intorno a un candidato. A guardare bene, la situazione del partito di Bersani ricorda quella nella quale si trovava il Pdl nel dicembre scorso. Anche allora, la guida di Silvio Berlusconi sembrava in bilico, e il centrodestra sull’orlo della frantumazione. Togliendo l’appoggio al governo tecnico di Mario Monti, invece, e dunque scaricando su palazzo Chigi la propria crisi, il Pdl si ricompattò. In questo caso, si tratta di Quirinale; e la garanzia che il Pd resti unito non c’é comunque. Ma la tentazione di far scattare un meccanismo simile non appare scongiurata. Quando il capo del movimento 5 Stelle (M5S), Beppe Grillo, sostiene che Bersani «si suicida» se appoggia un candidato «di tutti», tocca un nervo scoperto in alcuni settori della sinistra. Ed evoca una campagna elettorale tesa non a sottolineare la bontà di una tregua ma 1’«inciucio» fra Pd e Pdl. A Grillo non importa che un’intesa possa scongiurare la fine della legislatura e offrire un segnale alla comunità internazionale. Anzi, l’obiettivo seminai è opposto. Nell’ottica dello sfascio del sistema, il M5S punta a un’elezione nella quale non esista una regia di concordia, ma soltanto una scelta da far maturare dopo le prime tre votazioni. In queste, a un candidato è necessario avere due terzi dei voti dei 1007 «grandi elettori», dunque 672; e dunque un accordo fra sinistra e destra è indispensabile. Dalla quarta la percentuale si abbassa alla metà più uno dei voti, 504. E in quel caso le maggioranze possono cambiare, e il potere di condizionamento dei grillini aumenta. Sempre che anche i vertici del M5S siano in grado di dare indicazioni rispettate docilmente dai propri parlamentari. Ma è chiaro che non si può imputare a Grillo di fare i propri calcoli. Di nuovo, il problema rimbalza sui partiti che sono usciti dalle urne con una vittoria a metà; e che stanno valutando quanto sia conveniente, o anche solo possibile, trovare un capo dello Stato in grado di fare uscire la situazione dall’immobilismo e dai veti incrociati in cui si è impantanata. Lo stallo sta esasperando l’inquietudine dell’opinione pubblica e suscitando uno stupore e una perplessità crescenti a livello europeo. Può darsi che una soluzione condivisa spunti comunque, alla fine. Ma sarebbe l’esito di un pericoloso gioco d’azzardo.
(9) – De Robertis/La scissione dietro l’angolo
Da La Nazione, a firma Pier Francesco De Robertis
Non ci sarà scissione, ha ripetuto ieri Matteo Renzi per allontanare da sé i sospetti di indicibili manovre che in realtà all’interno del Pd tutti si imputano l’un l’altro non senza qualche fondata ragione. Lavoriamo per evitare una scissione, è da una settimana che vanno dicendo i massimi dirigenti del Nazareno, da quando per primo Dario Franceschini ha avuto il coraggio di pronunciare ad alta voce la parola che tutti pensavano. Scissione. L’opzione auto-nucleare in realtà messa in preventivo già dall’inizio, da quando i dirigenti Ds si presentarono al matrimonio con quelli della Margherita avendo prima svuotato le casse del partito e riposto al sicuro i beni di famiglia in una cinquantina di fondazioni affidate nominativamente a compagni G di provata fede. Non si sa mai. Scissione, quella che i dirigenti paventano ma che gli elettori hanno già messo in atto, se è vero che nel 2006 Ds più Margherita presero 12 milioni di voti mentre lo scorso 24 febbraio si sono fermati a nove. Scissione, quella che la battaglia per il Quirinale ha messo in evidenza essere già una realtà nel Pd in tutto e per tutto. Non è un problema di correnti, che nei partiti grandi ci sono sempre state ed è naturale che ci siano. E se proprio se ne vuole comprendere la ragione è forse a quel concetto di «amalgama» tra anime diverse che occorre tornare, e al fatto che come riconobbe D’Alema, «non sia mai accaduta».
La prospettiva è questa, ma non è detto che sia un male, né la fine della sinistra. Il Pd sembra di fronte al dilemma di tante coppie che arrivano al punto di rottura, e per le quali la separazione appare come l’unica valvola di sfogo per salvare il salvabile e magari recuperare il clima per una buona convivenza, forse anche per restare amici, e «rifarsi un’altra vita» soddisfacente per tutti. D’altra parte, che fare? L’amore manca, la passione non ne parliamo, le frizioni sono all’ordine del giorno, perché tirarla per le lunghe? Non è meglio dividersi prima di giungere ai piatti tirati in faccia e al reciproco rinfacciarsi i tradimenti? Al punto di non ritorno dei sentimenti, oltre al quale neppure i calcoli e le convenienze della politica potrebbero andare. Il Pd ci è vicino, ancora un po’ e sarà tardi.
(10) – “Partita finale, Pd sfibrato e lacerato”
Dai giornali di oggi, mercoledì 17 aprile
Corriere della Sera (Francesco Verderami) – … Amato era e resta la prima scelta per il Cavaliere; D’Alema è la carta di riserva, su cui puntare nel caso in cui l’accordo sull’ex sottosegretario di Craxi non dovesse reggere, e Berlusconi volesse evitare di restar fuori dai giochi, ritrovandosi al Quirinale una personalità non gradita se non ostile… Di sicuro Amato incontra il gradimento di Berlusconi, che è in piena sintonia con Napolitano, da tempo sponsor dell’esponente socialista. Ma se il patto Pd-Pdl dovesse saltare, l’inquilino del Colle avrebbe un altro candidato che vedrebbe di buon occhio come suo successore. Sarà una semplice coincidenza, ma non c’è dubbio che il giudice costituzionale Cassese incontra i buoni uffici del capo dello Stato uscente, ed è il nome con cui Bersani potrebbe evitare di venire travolto da Grillo, che ieri pronto ha iniziato la manovra di accerchiamento al Pd e gli ha di fatto proposto un accordo su Rodotà. Con Cassese, Bersani si precostituirebbe un’exit-strategy, ecco perché ne ha fatto cenno l’altra sera a Monti…
Repubblica (Goffredo De Marchis) – … Attraverso gli ambasciatori Gianni Letta e Vasco Errani, che ieri si sono visti e sentiti più di una volta, che hanno in mano il dossier e la delega piena dei loro referenti, la rosa è stata molto ristretta. Ma tutti i candidati offrono il fianco ai veti incrociati e non sciolgono, per il momento, il nodo della presidenza della Repubblica-presidenza del Consiglio. Giuliano Amato, Franco Marini, Massimo D’Alema e l’outsider, il giudice costituzionale Sabino Cassese: questa è la quaterna su cui costruire l’accordo. Con qualche chance residua per Anna Finocchiaro, rilanciata dalla Lega, e per Luciano Violante… Alla fine, tutto ruota attorno al Partito democratico. Che arriva alla partita finale sfibrato, lacerato…
Il Tempo (Nicola Imberti) – Né un passo avanti, né uno indietro. Dal giorno dopo le elezioni Pier Luigi Bersani è bloccato. Deciso a fuggire l’«abbraccio mortale» di Silvio Berlusconi e del Pdl, respinto senza mezze misure dal Movimento 5 Stelle. Anche la scelta del successore di Giorgio Napolitano si è trasformata in un bivio. Con il leader del Pd incapace di scegliere quale strada percorrere. Ad aggravare la situazione il dibattito interno al partito. Che se fino ad oggi ha mantenuto un’unanimità di facciata attorno alla linea del segretario, ora è ufficialmente e pubblicamente spaccato…
Il Fatto Quotidiano (Marco Travaglio) – Da un mese e mezzo, cioè dalla sera delle elezioni, si attendeva che il primo partito, il Pd, dopo aver detto giustamente di voler dialogare con i 5Stelle, facesse loro la classica proposta che non si può rifiutare: cioè il nome di un premier estraneo ai partiti, che fosse gradito sia al popolo grillino sia a quello del centrosinistra (due popoli molto meno distanti dei rispettivi vertici). Invece sono arrivate soltanto proposte che si devono rifiutare: votare la fiducia a un governo Bersani, uscire dall’aula tutti o in parte per abbassare il quorum al Senato, prestare alla causa qualche dissidente in libera uscita. Il festival delle occasioni mancate: Bersani che ha anteposto la sua persona agli interessi del Paese, insistendo su un’autocandidatura senza numeri e senza speranze; e i grillini che alla seconda chiamata al Colle si sono lasciati frenare dal niet di Napolitano a un premier extra-partiti, rinunciando a fare i nomi che pure avevano pensato…
Il Sole 24 Ore (Stefano Folli) – … Se Grillo vuole scardinare il centrosinistra, ha imboccato la strada giusta. Può offrire prima o poi ai “grandi elettori” un nome alternativo e confidare sulla scarsa compattezza dei gruppi parlamentari. Come si reagisce a questo disegno? Intanto prendendo nota di quello che ha detto ieri Napolitano commentando la strage di Boston: l’Italia non può isolarsi, non può rinchiudersi in se stessa e nelle proprie inquietudini. Come dire che il sistema, se vuole sopravvivere, deve avere la forza di auto-riformarsi, di aggiornare la Costituzione, di emendarsi dai propri errori. Ma senza smarrire la rotta rispetto al mondo circostante. In secondo luogo, chi ha la responsabilità di eleggere un nome condiviso e autorevole attraverso un’intesa fra Pd e Pdl (Giuliano Amato?) deve dimostrarsi capace di farlo. Ci vuole tempra, volontà politica e capacità di mantenere la disciplina nei gruppi parlamentari…
Il Giornale (Adalberto Signore) – …E i nomi su cui starebbe ragionando il leader del Pdl sarebbero sostanzialmente due: Giuliano Amato e Massimo D’Alema, con una preferenza forse per il secondo ma con la consapevolezza che la via del compromesso è probabilmente più facile da trovare sul primo. Intanto perché con Amato, rifletteva in privato Alfano nei giorni scorsi, «sarebbe certamente più difficile accusarci d’inciucio» visto che il dottor Sottile non è uomo nato e cresciuto nel cuore del Pci. Eppoi, avrebbe argomentato con i suoi pure Berlusconi, Amato «ha una statura internazionale che lo mette al riparo da qualunque critica». Si tratterebbe, insomma, di una scelta di alto profilo…
Il Fatto Quotidiano (Fabrizio D’Esposito) – …I gruppi parlamentari del Pd decideranno stasera, in una riunione convocata per le venti in un teatro romano, cosa fare nella prima giornata di votazioni, prevista per domani. Al momento lo stallo e la confusione, compreso ”identikit del nome coperto, vengono fotografati così da un bersaniano ortodosso: “Non c’è un accordo. I nomi fatti sono tutti candidabili ma non sono maturate le condizioni per una larga condivisione. Grillo vuole la Gabanelli o Rodotà, Berlusconi chiede in cambio il governissimo”. In pratica l’unico candidato che sembra profilarsi è la scheda bianca nei primi tre scrutini. Anche se per molti parlamentari democrat oggi sarà il giorno decisivo per la svolta. Rosa o nome secco? In direzione grillina o berlusconiana? Alle sette di ieri sera, su un divanetto del Transatlantico, erano seduti tre deputati del Pd: un filogrillino, un giovane turco, un dalemiano. Questa la sintesi del loro colloquio: “Se Bersani rinvia a giovedì la riunione di mercoledì sera gli facciamo il mazzo. Qui nessuno di noi sta capendo più niente”. Sui loro volti, anche un timore: quella che su Amato si sta registrando una convergenza troppo forte, da Napolitano a Renzi, da Berlusconi all’Europa. E a quel punto spazio alla vendetta dei franchi tiratori. Qualcuno giura che sarà un’elezione velocissima, in realtà potrebbe essere un tormentone lunghissimo.
Repubblica (Carmelo Lopapa) – … Il Cavaliere tuttavia non è affatto appagato dalle notizie portate da Alfano e Verdini sulle trattative sul governo. Loro hanno chiesto garanzie, aperture. Enrico Letta, Erravi, Migliavacca hanno ribadito ancora una volta la linea Bersani: sostegno esterno del Pdl a un governo di minoranza in cui verrebbero inserite delle figure tecniche, magari di area. Tra i nomi dei ministri è circolato anche quello del direttore generale di Bankitalia, Fabrizio Saccomanni. Per Berlusconi non è una strada percorribile. «Dovete ripeterlo loro e lo dirò anche io a Bersani: o governo di larghe intese, con nostri ministri politici, o elezioni anticipate». Da questa posizione il Pdl non si sposterà. E se la rottura dovesse travolgere anche la partita per il Quirinale, se approderà al colle più alto Prodi o il Rodotà sponsorizzato dal M5S, insomma, allora il leader si prepara fin dai prossimi giorni a denunciare il «golpe». La nuova manifestazione di piazza è stata già programmata per sabato 11 maggio, dopo Bari stavolta il Nord: la piazza di Brescia. Data lontana, non a caso: sarà l’avvio della campagna elettorale se tutto andasse a rotoli, al contrario verrà cancellata se il Pdl sarà nel pieno delle trattative per formare il governo…
Libero (Maurizio Belpietro) – …Il futuro presidente del Consiglio il meglio però lo diede quando si trattò di dismettere le aziende statali. Non solo si accordò per cedere per un tozzo di pane la Sme a Carlo De Benedetti (operazione che fu fermata da Bettino Craxi consentendo anni dopo allo Stato di incassare il quadruplo di quanto avrebbe pagato l’ingegnere di Ivrea) e per due lire l’Alfa Romeo alla Fiat, ma liquidò con esiti a dir poco disastrosi le partecipazioni che l’Iri aveva nelle cosiddette Banche di interesse nazionale… Certo è che il professore non è la persona più indicata per salire sul Colle e rappresentare il cambiamento in un periodo di crisi. Egli infatti è il solo uomo politico che negli ultimi 35 anni abbia collezionato con estrema facilità incarichi istituzionali e incarichi manageriali e finanziari. Come disse ironicamente Francesco Cossiga: «Per quanto riguarda essere di centro, di destra o di sinistra, una cosa è certa: io non sono mai stato consulente della Goldman