(1) Alfano al Ppe: il PdL è il più grande partito d’Italia. Un milione di iscritti
”Sono davvero lieto di parlare e di portare la voce del piu’ grande partito italiano, che ha la maggioranza in Parlamento e oltre un milione di iscritti, e che ha inserito nel proprio statuto i valori fondanti del Ppe.
Nel mio Paese e’ nato un nuovo governo senza che il precedente fosse mai stato sfiduciato e senza che Berlusconi avesse perso le elezioni. E’ nato per la generosita’ del Cavaliere, e io sono qui per dire che il Ppe potra’ contare sul sostegno del Pdl”. Lo afferma il segretario del Pdl, Angelino Alfano, intervenendo al congresso del Ppe in corso a Marsiglia.
”Siamo il Paese di De Gasperi – prosegue – abbiamo una grande fede europeista e crediamo nell’Europa”.
”L’Unione europea si appresta a prendere decisioni importanti, che possano favorire la nascita e il rafforzamento del popolo europeo. Ecco perche’ queste decisioni bisogna prenderle tutti insieme, con il principio della compartecipazione e condivisione delle responsabilita’. Un metodo che puo’ rendere forte l’Europa”.
”La risposta che possiamo dare agli euroscettici – prosegue – e’ una sola e cioe’ piu’ Europa, attraverso una politica fiscale, economica e monetaria e attraverso una Banca centrale che sia nelle condizioni di compiere delle scelte.
Dobbiamo rilanciare poi insieme il sogno europeo e se prenderemo decisioni giuste, arriveremo agli Stati Uniti d’Europa”. E, sempre a margine del congresso del Ppe, Alfano parla della politica nazionale e della manovra-Monti: “chiedo al governo di alleggerire la botta sulle pensioni e casa senza stravolgere la manovra a saldi invariati”. E tra le idee c’è anche quella del cosiddetto “fattore famiglia” per quanto riguarda la tassazione dell’Ici. Poi rilancia una proposta, già avanzata mesi fa, di una costituente popolare in Italia che unisca tutti i moderati del nostro Paese: “questo e’ l’auspicio che faccio e il progetto a cui stiamo lavorando.
Mi rendo conto che non si possono fare banalizzazioni – prosegue riferendosi alla posizione dell’Udc – del resto non vogliamo risposte entro oggi. Tuttavia è evidente che l’esperienza della sinistra e, in generale, quella socialdemocratica in Europa e’ del tutto alternativa a quella popolare. Serve quindi una costituente popolare per unire quella maggioranza degli italiani che non si riconoscono nella sinistra”. E fa un annuncio: “siamo già al lavoro e a gennaio saremo in grado di avere un nuovo organigramma del partito”, spiegando che uno dei ruoli e’ stato già assegnato a Franco Frattini.
Alfano replica poi all’invito rivoltogli da Buttiglione ad uscire dall’ombra di Berlusconi perché all’ombra delle querce non crescono platani ma solo funghi, affermando: “lui non e’ uno specialista del gioco di luci e ombre perché rispetto a noi e’ un bonsai”.
Crisi: Berlusconi, l’Italia fa la sua parte, manovra migliorabile
“L’Italia sta facendo la sua parte” per consentire all’Europa di uscire dalla crisi, “con questo provvedimento che una sola coalizione politica non poteva approvare e non poteva fare quello che abbiamo deciso dolorosamente di fare”. Lo dice Silvio Berlusconi arrivando al vertice Ppe di Marsiglia. Alla domande dei giornalisti che chiedevano se la manovra si puo’ migliorare, l’ex presidente del Consiglio ha risposto che “tutto e’ migliorabile: nel sistema italiano, per la nostra architettura istituizionale, il governo suggerisce e il Parlamento, che discute, decide e vota”. E ancora: “Se non si arrivera’ a dare alla Bce un ruolo di ultima garanzia, che garantisca i debiti sovrani degli Stati, non si arrivera’ a nessuna soluzione”.
PdL/Regolamento di incompatibilità per dirigenti e parlamentari
Il segretario del Pdl Angelino Alfano ha inviato ai coordinatori e vicecoordinatori regionali, provinciali e comunali del partito, oltre che ai parlamentari nazionali ed europei, ai consiglieri regionali, provinciali e comunali, il nuovo Regolamento sulle incompatibilita’ che entrera’ in vigore in occasione dello svolgimento dei prossimi Congressi provinciali e di grande citta’. Si tratta di un regolamento con cinque articoli e due norme transitorie, e che prevede una serie di incompatibilita’ tra cariche all’interno del partito, tra cariche nel partito e nelle istituzioni, tra cariche nel partito e in Cda di societa’ partecipate dallo Stato o dagli enti locali.
(2) – Manovra/Ora pretendiamo la crescita
Dopo aver fatto trangugiare agli italiani un bibitone di tasse senza precedenti (con la Confindustria che per questo pubblicava manifesti contro il centrodestra, e adesso si limita a qualche pudibonda osservazione), ora chiediamo al governo tecnico di darsi da fare rapidamente per la crescita. Anzi: lo pretendiamo.
Mario Monti è nelle condizioni migliori. Ha di fronte a sé intere praterie. Come premier di un governo tecnico non deve rispondere alla politica e ai sindacati, se non rispettando come ha detto la sovranità del Parlamento e concertando con le confederazioni, ma senza obblighi. Ha una squadra di ministri con punte di assoluta competenza e livello – un nome su tutti, Corrado Passera – che a loro volta non dipendono da partiti né da coalizioni.
Infine ha il terreno in gran parte spianato da quanto fatto o avviato dal governo di Silvio Berlusconi.
Dunque ci aspettiamo che si muova fin da gennaio su tre direttrici: riforma del mercato del lavoro, grandi opere e privatizzazioni. In aggiunta, deve portare avanti la sburocratizzazione e la valorizzazione dell’amministrazione pubblica secondo criteri meritocratici, per liberare il Paese dai vincoli inutili dello Stato e per spezzare le catene che costringono la libera iniziativa.La riforma del lavoro è un impegno che lo stesso Monti ha confermato martedì sera.
Il percorso è quello messo nero su bianco dalla Bce, e dal governo Berlusconi con l’Unione europea, e prevede il superamento della statuto dei lavoratori: contratto unico ed a tempo indeterminato per tutti, soprattutto per i giovani e le donne, e possibilità di licenziamento per cause economiche.
Così si è rimessa in piedi, sotto Schroeder, la Germania, che aveva la più forte tradizione di cogestione sindacale del mondo.
Punto due, le grandi opere. Passera ha detto di aver trovato i cassetti pieni di progetti già pronti.
E’ un grande banchiere ma soprattutto un grande imprenditore: sa dunque dove mettere le mani e come. Punto tre, le privatizzazioni e le liberalizzazioni. Una delle prime grandi operazioni di Berlusconi fu l’Alitalia, e proprio Passera ne è stato un convinto protagonista: ce lo siamo dimenticati? Dunque, messi come ha detto i conti pubblici al sicuro, il tecno-governo agisca subito sull’altro fronte. Un paese non vive di solo spread e di solo rigore. Ancora meno di stangate sulle case e sulla benzina che impressionano la Merkel e Sarkozy. L’Italia ha accettato il salasso di questi giorni in cambio della promessa di lavoro, di crescita e di impresa. Nessuno dimenticherà questo impegno.
(3) – Manovra/ora tocca all’Europa
L’Italia ha fatto la sua parte. La manovra varata dal governo Monti garantisce il raggiungimento dell’equilibrio dei conti pubblici entro il 2013 e sarà approvata dal Parlamento nonostante il fatto che, a mano a mano che si approfondiscono i dettagli, emerge il fatto incontestabile che per tre quarti è composta da nuove tasse (e per di più pesanti perché concentrate) e per un quarto da tagli.
Emerge anche che l’equità è piuttosto rarefatta e spostata come effetto futuro. Quanto allo sviluppo, a prescindere dalle facilitazioni fiscali concesse alle imprese che assumono donne e giovani, essa rinvia a un “secondo tempo”, in omaggio a una prassi consolidata, come ha rilevato criticamente Angelo Panebianco sul Corriere della Sera.
Ora non sarà più possibile accusare il nostro Paese di mettere in grave pericolo l’euro e il processo di integrazione europea, dopo lo sforamento del 3% del deficit già compiuto da Francia e Germania. Tutti i paesi europei, in varia misura e con diverse modalità, hanno le loro responsabilità, come conferma la stretta sorveglianza messa in atto da Standard&Poor’s su ben quindici Paesi. Il vertice europeo di oggi e domani non dovrà quindi essere l’occasione per reciproche accuse ma per trovare soluzioni buone e praticabili per tutti.
Questo quadro si rispecchia nelle parole di Silvio Berlusconi: non è la nostra manovra ma bisogna approvarla. Dallo stato di necessità al senso pieno di responsabilità, dagli obiettivi di parte all’obiettivo generale. E non c’è dubbio che quanto verrà detto e deciso a Bruxelles si rifletterà sul Parlamento italiano, sul dibattito che precederà la conversione in legge del decreto. Perché è un fatto che l’Eurozona, in questi primi dieci anni di euro, è gradualmente scivolata verso un forte rallentamento della crescita, che non si può certo imputare ai conti truccati della Grecia, ed è anche un fatto che la crisi dei debiti sovrani ha solo portato alla luce alcuni difetti di impostazione che il vertice dovrà analizzare e correggere. Ma tenendo conto di tutti i dati, compreso quello, non secondario, che indica che se il debito pubblico dell’Italia è elevato, non così è quello privato, diversamente da ciò che accade in altri grandi Paesi europei. Anche in sede europea bisognerà amalgamare rigore e crescita poiché solo da questo amalgama usciranno rafforzate l’equità e la cooperazione.
(4) – Legge elettorale/Aperti al confronto
La proposta di un tavolo per la riforma della legge elettorale è stata lanciata da Silvio Berlusconi durante l’ufficio di presidenza del Pdl di martedì 6 dicembre. L’obiettivo è di aprire subito una discussione tra tutti i partiti, per lavorare ad eventuali modifiche e lasciare così al Parlamento l’ultima parola su una materia delicata, dove l’eventuale referendum abrogativo (se in gennaio la Consulta darà l’ok) rischia di creare più problemi che soluzioni, mettendo a rischio la governabilità. Infatti l’eventuale abrogazione della legge elettorale in vigore (liste bloccate), in base alla giurisprudenza della stessa Consulta, non farebbe rivivere in modo automatico la legge precedente, nota come Mattarellum (collegi uninominali con recupero proporzionale). E questo potrebbe creare un vuoto legislativo proprio alla vigilia del 2013, anno previsto per le elezioni politiche. Dunque, una decisione saggia quella di Berlusconi, che ha il merito di guardare avanti e di impegnare tutti gli schieramenti politici in un lavoro fondamentale, volto a garantire anche in futuro democrazia e governabilità.
I capigruppo del Pdl di Camera e Senato si sono immediatamente messi al lavoro. E Maurizio Gasparri, presidente dei senatori Pdl, ha confermato: “I gruppi del Pdl hanno già designato i parlamentari che dovranno agire con i vertici parlamentari e del partito per definire la nostra posizione. Ovviamente ci confronteremo con altre forze politiche, avendo come riferimento un sistema che garantisca il bipolarismo e le alleanze alla luce del sole, da sottoporre al giudizio degli elettori”. Per chiarire le linee generali della nuova legge, Gasparri ha poi aggiunto: “Il Pdl sarà aperto al confronto, ma fermo nei principi: nessuna restaurazione che dia tutto il potere ai giochi di Palazzo”. Una linea che il Pdl seguirà anche “sulle riforme costituzionali e dei regolamenti parlamentari”. “Questioni importanti” ha precisato Gasparri “che ovviamente vedono assolutamente estraneo il governo. Sono temi del confronto politico tra gruppi parlamentari e partiti”.
(5) – Debito pubblico/Il Pd faccia mea culpa
Feteci caso: in ogni intervista sulla manovra economica varata dal governo Monti, tutti i dirigenti del Pd, a cominciare da Bersani, fanno sempre una premessa, sempre la stessa, che tradisce imbarazzo più che senso di responsabilità, e suona più o meno così: “Se l’Italia è arrivata sull’orlo del precipizio, la colpa è del governo Berlusconi”. Niente di più falso. All’origine della crisi c’è l’elevato debito pubblico dell’Italia, pari a quasi il 120 per cento del pil, considerato dai mercati e dalla speculazione troppo alto per garantire i titoli emessi. E questo debito il governo Berlusconi non lo ha certo creato, bensì ereditato dai governi del passato. Soprattutto da quei governi consociativi e catto-comunisti che hanno dominato la scena tra il 1980 e il 1992, si ispiravano alla politica del deficit spending (in auge nel Pci di allora e in seguito anche tra i suoi eredi, Pd compreso), governi che in 12 anni portarono il debito pubblico italiano dal 60 al 120 per cento del pil.
E’ alla spesa facile di quegli anni che si deve una vera e propria esplosione di alcuni capitoli della spesa pubblica: la scuola trasformata in ammortizzatore sociale per mettere due maestre dove ne bastava una; la sanità usata dalle Regioni come un bancomat per le clientele; la previdenza per distribuire pensioni doppie e triple, vere e fasulle, giusto per fare qualche esempio. Il tutto con il contributo decisivo dei sindacati e dei loro patronati, che oggi hanno pure la faccia tosta di protestare e scioperare.
La verità è che il governo Berlusconi è stato il primo a praticare una seria politica di rientro dal debito pubblico, con una politica di rigore e con riforme coraggiose come quelle della scuola, della previdenza e del pubblico impiego.
Rigore e riforme che hanno avuto un ruolo importante nel mettere ordine nel bilancio dello Stato, che nonostante la forte crisi internazionale ha potuto registrare il migliore saldo primario tra i Paesi europei. Un risultato che poteva essere ancora più lusinghiero se il governo Berlusconi non fosse stato rallentato nell’azione da mille ostacoli, come la fuoriuscita di Fini e dei suoi, le impuntature della Lega sulle province e sulle pensioni, i tradimenti di alcuni parlamentari, fino alla mancanza di qualsiasi contributo di idee da parte dell’opposizione, innamorata del proprio disfattismo cosmico. Un disfattismo che sembra duro a morire, e purtroppo continua a vivere nelle bugie di Bersani e compagni.
(6) – “Decreto, sì alla fiducia:lo voteremo”
”Il decreto del governo Monti, che raschia il barile e che esprime una linea di ‘lacrime e sangue’ presenta aspetti che non ci convincono ma lo voteremo per senso di responsabilita’ se il governo mettera’ la fiducia”.
Lo afferma, in una nota, il presidente dei deputati del Pdl Fabrizio Cicchitto. ”Abbiamo piena consapevolezza – sostiene Cicchitto – della gravita’ della situazione finanziaria internazionale derivante in primo luogo dalla crisi dell’euro e dai suoi meccanismi interni. La conseguenza e’ che sono a rischio in primo luogo i risparmi, i titoli di stato italiani.
La situazione politico-parlamentare probabilmente non consente il gioco tradizionale degli emendamenti, ma lavoreremo per modificare il decreto in aspetti significativi riguardanti in primo luogo la casa. Prenderemo anche in considerazione -conclude Cicchitto- un aspetto riguardante le pensioni”.
Meloni/Surreale non toccare le pensioni d’oro
”La sfida del Pdl e’ quella di conservare l’alleanza con la Lega mantenendoci in un quadro bipolare”. E’ l’analisi al quadro politico dell’ex ministro Giorgia Meloni ospite a Tgcom24 che sulla manovra incalza: ”Devono essere fatte scelte coraggiose in nome dell’equita’, invece mi colpisce che si tassi la prima casa e sulle banche non si metta un tetto ai dividendi. La commissione lavoro ha dato un parere al tema della manovra e francamente e’ surreale che nel momento in cui si ferma l’adeguamento delle pensioni, non si faccia nulla per le pensioni d’oro, come raccontato nel suo libro dal vostro direttore Giordano. Se non si va verso l’equita’, invece di un governo tecnico bastava la politica o addirittura la prima Repubblica”. In conclusione una nota sui capitali scudati: ”Dovendo scegliere tra le pensioni e gli scudati, preleverei dai secondi”
(7) – ‘Casini svegliati, noi mai col Pd’
Da Panorama, intervista al segretario del PdL Angelino Alfano
Angelino Alfano, che cosa non avrebbe fatto lei al posto dl Mario Monti anche se il bivio era: manovra pesantissima o fallimento?
La botta sulla casa e sulle pensioni è troppo dura.
Si sente il nuovo paladino del ceto medio per averlo difeso almeno in parte?
Mi sento come uno che ha fatto il proprio compito. Sarebbe stato ingiusto se a pagare fossero stati i soliti, con l’aumento dell’Irpef.
Perché la politica non avrebbe potuto fare le stesse, durissime scelte del governo tecnico? Silvio Berlusconi, al posto di Monti, sarebbe stato mediaticamente annientato?
Abbiamo avuto conferma della bontà della scelta. Provi a immaginare se ci fosse stata una campagna elettorale in piena crisi finanziaria, con le dimissioni di Berlusconi, lo spread a 580 e le borse a meno 4 ogni giorno. Così abbiamo potuto dimostrare che né lo spread né la borsa avevano a che fare con Berlusconi. E che le sue dimissioni non valevano 200 punti di spread. Ma nessuno, da sinistra, ha chiesto ancora scusa. Siamo in attesa.
Teme un contraccolpo dei vostri sostenitori, soprattutto alla luce del programma del Popolo della libertà su case e tasse?
Abbiamo fatto la scelta più utile al Paese non quella più conveniente per noi. In realtà abbiamo deciso una serie di manovre che nella loro proiezione (2008-2013) avrebbero avuto un ammontare decuplo rispetto a quella di Monti. Ma non avevamo una maggioranza così ampia per fare determinate scelte. Altre, invece non le avremmo fatte perché non le condividiamo. Resta la difesa del principio no alle tasse espresso col no all’aumento dell’frpef. Noi non abbiamo proposto queste cose Questa è la manovra del governo.
Berlusconi promise l’abolizione dell’id e si rivelò una carta vincente. Alle prossime elezioni tornerete a cavalcare il tema della diminuzione delle tasse?
Sì, quello resta lo scenario per cui lavorare. La libertà dei cittadini è anche la libertà dall’oppressione fiscale. Ovvio che non si ragiona nel vuoto assoluto. Dipende dalla congiuntura, non siamo nelle condizioni di promettere.
Fino a giugno il governo Berlusconi ripeteva che i conti erano sotto controllo, poi sull’onda della crisi crescente è stato costretto a mettere un’imposta straordinaria e infine a
dimettersi. Dall’opposizione vi hanno accusato di avere mentito al Paese. Che cosa replica?
No, abbiamo sempre detto la verità e anche questo governo ha dichiarato di essere stato
costretto a fare una manovra di 24 miliardi per il peggioramento del ciclo economico.
Berlusconi ha sempre detto: la crisi è difficile, ma crediamo di potercela fare: Era la
rassicurazione, come è giusto che sia, di un leader che dà fiducia al proprio paese. Il leader
non ha un atteggiamento nichilistico.
Crede a quanti sostengono che se aveste fatto la riforma delle pensioni, scontentando la Lega,
oggi sareste ancora al governo?
Non ne sono sicuro, è difficile da dimostrare. Non foss’altro perché proprio la Lega avrebbe
fatto cadere il governo.
Nelle scorse settimane si è parlato di sue pressioni, fra le altre, per convincere Berlusconi a lasciare. Come sono andate davvero le cose?
Non ho fatto nessuna pressione perché si dimettesse. Lo ha deciso lui, quando ha colto che non
poteva realizzare come voleva il suo programma. Del resto, chi ha vinto le elezioni che cosa
deve fare? Deve dire che le opposizioni hanno ragione? Sia l’Europa col documento che
Berlusconi ha portato a Bruxelles in ottobre sia Monti hanno riconosciuto un filone di
continuità con l’azione dell’attuale governo. Certo, un leader che ha governato il Paese vuole
continuare a governarlo.
Adesso la Lega è tornata a minacciare la secessione: teme che il vostro rapporto possa diventare irrecuperabile?
La forza di questo rapporto sta nei governi locali, dove il nostro sforzo è congiunto. Per esempio in Lombardia, Veneto, Piemonte, così come nelle amministrazioni provinciali e nei tantissimi comuni dove governiamo insieme. Quella è la base su cui ricostruire. La Lega ha dei cicli. Noi abbiamo conosciuto una Lega di governo. La stessa che con Roberto Calderoli ha presentato una riforma dell’architettura dello Stato che, benché federalista, conservava l’unitarietà dello Stato.
In una recente intervista a «Panorama», Pier Ferdinando Casini ha detto che, anche se adesso non sarebbe possibile in un futuro non troppo lontano vedrebbe bene Alfano al governo con Pier Luigi Bersani. Che cosa gli risponde?
Che mi pare un’ipotetica dell’irrealtà. Anche nello sviluppo di questa manovra ci stiamo
rendendo conto di quanto siano diverse le nostre sensibilità e le istanze programmatiche.
Bisogna stare insieme quando si è compatibili. Noi abbiamo valori e visioni, oltre che programmi, incompatibili. Secondo me, l’Italia non deve disperdere il patrimonio di trasparenza che consiste nel sapere in anticipo chi sarà il premier del centrosinistra o del centrodestra.
Ora che siete tutti sulla stessa barca, si sente un po’ più vicino al Pd?
Ma no, perché non abbiamo stretto un’alleanza con il Pd, abbiamo scelto di far nascere il governo Monti e il Pd ha fatto la stessa scelta. Ma fra noi e loro non c’è nessun accordo.
Alle prossime elezioni come farete a fare campagna elettorale contro il Pd e il terzo polo dopo avere condiviso per un anno e mezzo le misure prese dal governo Monti?
Sarà facilissimo, basterà leggere i programmi e si vedrà che non coincideranno.
Meglio recuperare la Lega o il terzo polo?
Siamo stati alleati, perché devo scegliere tra l’uno e l’altro?
Quanto parla con Berlusconi?
Tutte le volte che serve per il tempo che serve.
Quando fu nominato segretario del Pdl, Bersani non fu affatto tenero con lei, sottolineando il suo rapporto con Berlusconi. Quanto si sente autonomo dal leader del Pdl?
Non c’è questo problema, perché io credo che il nostro sia un partito di origine carismatica. Ho avuto un compito che ho assolto, anche a giudicare dai sondaggi di giornali a noi ostili, con dignità e consenso. I sondaggi di Repubblica nell’ultimo mese in cui ho fatto il ministro mi davano in testa alla classifica dei ministri. Questo per dire che non è necessario combattere il leader di prima per emergere
Ma lei ha mai avuto dissensi con il Cavaliere?
L’aspetto davvero incompreso di Berlusconi all’esterno è che lui ha una straordinaria capacità di ascolto, non c’è la necessità di litigare. Le ultime riunioni di presidenza ne sono la prova, si arriva a decisioni di sintesi che a volte non coincidono con le posizioni di partenza di Berlusconi.
Si è mai sentito «non all’altezza» del suo predecessore?
Mi sono sentito responsabilizzato. Quello che avrebbe potuto crearmi problemi sarebbe stata la solitudine della responsabilità. Invece mi sento non solo sostenuto da Berlusconi, ma affiancato da una grande squadra dei dirigenti del Pdl.
Chi vede come possibile rivale alle primarie del Pdl, Roberto Formigoni, Maurizio Sacconi o altri?
Non ho un’ansia da primarie. In questo momento non mi è stato dato il compito di fare il candidato alle primarie, ma di organizzare il Pdl. Non mi preoccupo della prossima, eventuale candidatura a qualunque cosa.
Paradossalmente, lei è stato più sostenuto dagli ex di An che da alcuni esponenti del suo partito. L’ha sorpresa?
L’idea dell’unanimità permanente è ipocrita. Non ho incontrato però grandi avversari in questi mesi.
Che rapporto ha con Gianfranco Fini? Pensa che possa tornare a essere un valido interlocutore politico?
Fini ha separato la sua strada da noi. Purtroppo sull’asfalto sono rimasti detriti di risentimento la cui rimozione necessita di tempo.
Lei è riuscito a conquistare anche il capo dello Stato. Giorgio Napolitano ha forzato la mano nella gestione della crisi?
Se c’è un momento in cui l’ho apprezzato davvero come tutore della nuova Repubblica italiana, è stato quando ha dichiarato che mai avrebbe consentito ribaltoni e quando ci ha assicurato che il governo Monti non sarebbe nato senza il consenso del Pdl e di Berlusconi. Un grande gesto di correttezza che segnerà il suo curriculum presidenziale.
Che cosa ha provato quando ha visto Angela Merkel e Nicolas Sarkozy ridere di noi?
Un po’ di tristezza per l’assenza dei leader che c’erano una volta in Europa. Leader europeisti che sacrificavano gli interessi nazionali, capaci di superare ogni egoismo in nome di un ideale.
Come farete a recuperare i delusi del Pdl, cioè quelli che oggi, se si volasse, si asterrebbero?
Questo è il primo compito che abbiamo davanti: perché ci possano dare un’altra possibilità dobbiamo dare la prova di un nuovo inizio. Dimostrare che siamo capaci di ricostruire il centrodestra e l’area moderata.
Devono cambiare i criteri per la scelta dei candidati alle prossime politiche?
Occorrerà trarre il meglio dai gruppi parlamentari, dal territorio, da tutto ciò che di nuovo è venuto fuori in questi anni. Noi abbiamo avuto delle donne molto in gamba che hanno dato prova di grande affidabilità parlamentare con percentuali di partecipazioni alle votazioni vicine al 100. Non abbiamo di che lamentarci, lo sa?
Chi vede bene nella nuova classe dirigente del Pdl?
Dovrei fare almeno una cinquantina di nomi per non fare torto a nessuno. Il nuovo gruppo andrà valorizzato con tutti quei giovani in gamba che non sono ex democristiani, ex socialisti, ex repubblicani, ma solo e da sempre bipolaristi e appartenenti al Pdl.
Sarebbe capace dl fare quello che Denis Verdini ha fatto per il partito e per la maggioranza nei momenti dl difficoltà, e cioè convincere le pecorelle a non lasciare il gregge o riportare al gregge le pecorelle smarrite?
Il lavoro di ciascuno di noi va adeguato al momento storico. Con una maggioranza di fiducia come questa non ho da riportare pecorelle smarrite. E comunque, tutte le pecorelle che erano candidate a smarrirsi si sono adesso ripresentate in fila nel gregge.
E’ vero che ad aprile, quando le aste deititoli pubblici saranno concluse e la gente sarà arrabbiata per avere sperimentato sulla propria pelle I tagli e le tasse, voi staccherete la spina a Monti?
Noi non abbiamo immaginato una data di scadenza. Tifiamo Italia, non lavoriamo per fare cadere il governo.
Avete chiesto ai ministri del governo Monti dl non ricandidarsi. E se accadesse il contrario?
Non credo che un governo di questo genere debba inventare candidature future Noi non stiamo sostenendo l’ambizione di qualcuno.
Silvio Berlusconi tornerà in politica da protagonista principale?
Non ne è mai uscito perché il suo gesto lo ha tenuto al centro della politica italiana. Proprio oggi (lunedì 5 dicembre, ndr) Monti lo ha citato due volte in Parlamento. Sta orientando un partito di maggioranza che sostiene un governo tecnico. Una persona che smette di fare il premier è difficile che abbia uno stato d’animo sereno come quello di Berlusconi. Le sembra uscito di scena?
(8) – Folli: il drammatico bivio di Bersani
Da ‘Il Sole 24 Ore’, a firma Stefano Folli
“Il Bivio del Pd, in gioco una cultura politica, non solo alleanze”
Il Partito Democratico subisce, e per ora regge, la maggiore pressione politica e sociale indotta dal Governo Monti. Delle tre forze che in Parlamento sostengono l`Esecutivo e definiscono unpatto di maggioranza tanto ampio quanto anomalo, il partito di Bersani è senza dubbio quello a cui è richiesto lo sforzo più grande e più rischioso. Gli altri due, Pdl e Udc-terzo polo, hanno meno problemi e anzi qualche vantaggio.
Il binomio Berlusconi-Alfano sembra trovarsi piuttosto bene in questa fase di stabilità garantita dai tecnici e utile a riassorbire il contraccolpo dell`addio a Palazzo Chigi. C`è da gestire la frattura con la Lega e individuare una nuova rotta in mezzo alla nebbia: un obiettivo che ha bisogno di tempi lunghi. Quanto a Casini e Fini, è chiaro che il «terzo polo» è il più soddisfatto della piega che hanno preso gli eventi: si sforza d`interpretare al meglio il «montismo», di cui sottolinea il nesso con le intenzioni del Quirinale. Se ci saranno sviluppi politici nei prossimi mesi, Casini prevede di esserne, il principale beneficiario, perché già oggi il vecchio bipolarismo è defunto e il futuro potrebbe premiare la capacità d`influenza dei centristi moderati. L`esordio del Governo e la rottura con Di Pietro fanno emergere i nodi della sinistra «riformista» Resta, appunto, il centrosinistra. Qui le acque sono increspate. «Non potete stracciare la foto di Vasto» dice Vendola. Ma quell`immagine è già in mille pezzi. È sotto gli occhi di tutti che il patto a tre fra Bersani, Di Pietro e Sinistra e Libertà non riflette più l`attuale realtà. Da architetto dell`intesa a sinistra, il segretario del Pd si è trasformato in un combattente su due fronti.
Da un lato deve concordare con Pdl e terzo polo, gli altri due soci di una maggioranza non ufficiale, alcuni minimi correttivi alla manovra (a cominciare dalla tutela delle pensioni più basse e dall`Ici). Dall`altro deve guardarsi le spalle per non essere scavalcato e attaccato da chi punta sul disagio sociale. Il vecchio patto implicava che si andasse alle elezioni sulla base della «foto di Vasto».
Oggi invece il Pd si carica sulle spalle una politica economica molto pesante, persino aggressiva, in nome dell`Europa e muovendosi nel solco tracciato da Napolitano («è l`unica alternativa alla catastrofe»).
Inevitabile che la decisione abbia delle conseguenze di lungo periodo. Di Pietro ha imboccato una strada opposta e lo ha fatto con il solito tono enfatico e definitivo, parlando di una «manovra criminale».
Tattica consueta: dovendo cambiare posizione, meglio farlo con tutto il clamore necessario. Tanto più che all`opposizione c`è già la Lega e l`Italia dei Valori ha la necessità di individuare un suo spazio.
Ne deriva che il Pd si trova catapultato davanti a un bivio decisivo. Non solo saltano le vecchie alleanze, ma forse anche una vecchia cultura politica. Nei prossimi mesi Bersani e il gruppo dirigente del Pd, che non è così compatto, dovranno scegliere.
Possono tentare di recuperare nel giorno per giorno il rapporto con Di Pietro, con il movimento di Vendola, con l`ala intransigente del sindacato: legittimo, ma rischia di essere un`opzione difensiva e di corto respiro. Oppure possono sforzarsi di immaginare un nuovo progetto per l`Italia, con una lettura di sinistra – diciamo così – del «montismo».
All`interno di tale progetto nasceranno anche le alleanze di domani, nelle quali potrebbe essere inclusa, a certe condizioni, anche la sinistra di Vendola.
Ma di sicuro oggi serve un colpo d`ala.