Agli italiani che hanno appena vent’anni, o giù di lì, la data del 25 luglio 1943 non dirà assolutamente nulla. Ma chi è più anziano, e non è rimbambito, ricorderà che cosa avvenne in quella giornata di settantadue anni fa. Nella notte fra il 24 e il 25 luglio cadde il regime di Benito Mussolini. Il leader del fascismo non aveva nessuna intenzione di gettare la spugna. La guerra stava andando da cani, migliaia di ragazzi erano già morti sui troppi fronti, l’Italia era un Paese sconfitto e destinato a essere invaso dagli eserciti alleati che all’inizio di luglio erano già sbarcati in Sicilia.
Nonostante quel disastro, Mussolini pensava ancora di farcela. Ma venne licenziato dal Gran Consiglio del suo partito. Fu arrestato dal maresciallo Pietro Badoglio per ordine del re. E una volta liberato dai parà tedeschi, cominciò l’ultima avventura, la Repubblica sociale.
Quando dico che il 25 luglio di Silvio Berlusconi prima o poi ci sarà non intendo offendere né la buonanima di Benito né la tragedia che sta vivendo il Cavaliere. Però non trovo un altro parallelo storico che riassuma altrettanto bene la fine politica del centrodestra italiano e quella personale dell’uomo che è stato il suo leader per tanti anni, a partire dal 1994.
So di essere quasi blasfemo nei confronti di un signore che alla fine del settembre 2016 compirà ottant’anni. Io li ho fatti tre mesi fa. E ho imparato che si tratta di una barriera non fisica, ma psicologica. Quando riesci a superarla, ti rendi conto che non sei più l’uomo di prima. Anche perché il calendario ti avverte che è suonato il gong dell’ultimo round.
RITENERSI ETERNO
Il Cavaliere deve essere davvero un soggetto speciale. Conosco pochissimi politici che abbiano un’identica fiducia nella propria forza e nella capacità di durare nel tempo. Ma nel vedere in tivù il messaggio natalizio di Silvio ha provato una gran pena. Posso dirlo senza rischiare di apparire insolente? Aveva il volto di un fantasma che tenta con disperazione di non svanire allo scoccare della mezzanotte. L’espressione ricordava una mummia, tenuta in vita grazie a qualche magia che, come succede sempre, prima poi si dissolve.
Per questo mi sembra privo di senso che il Cav non voglia gettare la spugna per affidare a qualcun altro la guida di quel che resta di Forza Italia. Quando la fondò, Berlusconi disse ai noi cronisti: «Non ho compiuto nessun miracolo. Mi sono limitato a offrire una casa politica a tanti milioni di italiani che l’avevano persa per la scomparsa della Prima Repubblica».
Ma che cosa resta oggi di quell’impresa? Ben poco. Dal punto di vista formale, Forza Italia è già stata superata di gran lunga dai Cinque Stelle di Beppe Grillo. Ha un vertice in subbuglio e sempre più stremato. La guerra tra i due capigruppo alla Camera e al Senato, Renato Brunetta e Paolo Romani, esplode ogni mattina e rischia di allontanare migliaia di altri elettori disgustati. Berlusconi non è più in grado di far cessare questo duello mortale. Il suo proposito di sostituire Brunetta con Mara Carfagna è patetico, del resto è durato poche ore.
Tuttavia il caos imperante in Forza Italia è testimoniato soprattutto dall’assalto di Denis Verdini. Fino a qualche mese fa era il più berlusconiano dei berlusconiani. Un mago nel tessere trame, capace di soggiogare il Cavaliere e pronto a giurargli fedeltà eterna. Si era spinto ad augurarsi che diventasse il presidente della Repubblica: «Nessuno più di lui è degno del Quirinale».
Poi ha fondato un suo gruppo politico, l’Alleanza Liberalpopolare-Autonomia, l’Ala, ed è passato tra i sostenitori di Matteo Renzi e del governo.
VOLPONE TOSCANO
I lettori di Libero sanno di certo chi è Verdini. In futuro i politologi lo definiranno l’esempio più volgare del trasformismo degli anni Duemila. A me rammenta un volpone che, messo di guardia al pollaio, lo svuota, mangiandosi le galline, giorno dopo giorno. E le galline si mostrano felici di farsi divorare. Anzi corrono dal volpone e lo implorano: «Mangia anche me!».
A volte mi domando se osservo la politica italiana o assisto a un pessimo serial televisivo, un mix tra il tragico e il ridanciano. Con l’interprete di moda oggi: Checco Zalone. Me lo chiedo quando vedo correre dal volpone con la chioma bianca una coppia che sembrava decisa a lasciare la vita pubblica: Sandro Bondi e Manuela Repetti.
Confesso di non riuscire a parlar male di Bondi. Per ragioni molto personali. Quando uscì il mio «Sangue dei vinti», un libro sulle vendette dopo il 25 aprile 1945, Bondi ebbe il coraggio di difendermi in un dibattito Rai guidato da Antonio Socci nel cuore del Triangolo della morte, a Castelfranco Emilia. E da ministro della Cultura salvò dal silenzio il film ricavato da quel libro, messo all’indice dal Festival del cinema a Roma, una rassegna tutta rossa.
Ma oggi Bondi rappresenta il sintomo più forte della malattia che sta uccidendo Forza Italia e il Cavaliere. Nel passaggio da Silvio a Denis, un giornalista fiorentino che conosce come pochi la Toscana diventata un feudo renziano, David Allegranti, ha ricordato sulla Stampa di tre giorni fa che Bondi, un poeta blindato nel riserbo, aveva composto «A Silvio», un’ode segnata da un amore profondo: «Vita inseguita, Vita ritrovata, Vita splendente, Vita disvelata, Vita nova…».
Quanti altri Bondi passeranno con Verdini e dunque con Renzi? Confesso che mi interessano poco i proclami del Volpone. Mi preme, e mi allarma sempre di più, il paradosso distruttivo che rischia di travolgere il centrodestra. Provo a descriverlo nel modo più semplice. Quel che rimane di Forza Italia suona l’allarme democratico. E ripete di continuo che Renzi sta costruendo un regime autoritario che farà piazza pulita di tutti gli oppositori. Ma il Cav ha votato l’Italicum. Dando via libera al progetto del premier che limiterà in modo grave la libertà del Paese.
QUINTA COLONNA
Se non sapessi che gli uomini spesso sono incoerenti e vanno contro i loro stessi interessi, dovrei dedurre che Renzi ha nel centrodestra un insieme di quinte colonne che, di nascosto, lavorano per lui. Purtroppo non esistono agenti segreti né trame occulte. Esiste qualcosa di molto più grave: la mancanza di un minimo di unità e di buon senso.
La cosiddetta area moderata è allo sfascio. Tutti vogliono comandare. Matteo Salvini urla di continuo: «Il leader sono io!». Berlusconi ribatte: «No, il capo sono me!». Persino la bionda leader di Fratelli d’Italia, Giorgia Meloni, si illude di essere decisiva per la conquista del governo che verrà. È questa smania suicida di combattersi ad allontanare gli elettori che in altri tempi avevano garantito la vittoria di Berlusconi.
Nel suo messaggio natalizio, il Cavaliere ha indicato un obiettivo ai fedeli che gli sono rimasti: «Dobbiamo riconquistare uno per uno gli elettori che non vanno più a votare». Se la memoria non m’inganna, ha buttato lì una cifra da nulla: venticinque milioni di assenteisti sempre più ostinati. Di questo passo, Renzi regnerà per il prossimo ventennio. Il Bestiario finirà prima di lui. Berlusconi dovrà affrontare il proprio 25 luglio. L’Italia non sarà più un Paese per cittadini liberi. Restano ancora tante incognite. Compresa quella del terrorismo islamico. Comunque chi vivrà, vedrà. È l’unico augurio che mi sento di fare a me e agli altri italiani per il 2016 alle porte.